POSSIAMO PROVARE A VOLERCI UN PO' PIU' BENE?

POSSIAMO PROVARE A VOLERCI UN PO' PIU' BENE?
POSSIAMO PROVARE A VOLERCI UN PO' PIU' BENE?

martedì 31 luglio 2012

ESTATE TEMPO DI ATTESA PER L'AUTUNNO CHE ARRIVA E CHE PRECEDENDO L'INVERNO PARE DIRE :"VEDRAI CHE DOPO DI TE ARRIVERA' LA PRIMAVERA CHE LASCERA' IL POSTO ALL'ESTATE..." E QUINDI ECCOCI QUI DI NUOVO AL CALDO DEGLI ANTICICLONI E DELL'ALTA PRESSIONE. QUINDI PROSSIMAMENTE SCRIVERO' QUALCOSA MA ORA IL TASSO DI UMIDITA' PRESENTE NEL MIO UFFICIO MI CONSIGLIA DI ANDARE A BERE DELL'ACQUA FRESCA E COSI' FARO'...

lunedì 28 maggio 2012


Piazza Loggia, 28/05/2012 ore 10.12

NOI NON DIMENTICHIAMO

1. Giulietta BANZI BAZOLI, anni 34

2. Livia BOTTARDI MILANI, anni 32

3. Clementina CALZARI TREBESCHI, anni 31

4. Alberto TREBESCHI, anni 37

5. Euplo NATALI, anni 69

6. Luigi PINTO, anni 25

7. Bartolomeo TALENTI, anni 56

8. Vittorio ZAMBARDA, anni 60

UNA STRAGE IMPUNITA. A 38 anni di distanza, passato l'attonito dolore del 14 aprile quando la Corte d'Appello ha confermato l'assoluzione per tutti gli imputati, in piazza della Loggia è il giorno della memoria, dell'anniversario dell'attentato che provocò 8 morti e 102 feriti. Così la città torna a interrogarsi su mandanti ed esecutori. Una commemorazione amara, che arriva a pochi giorni dall'attentato davanti alla scuola «Morvillo-Falcone» di Brindisi costato la vita alla 16enne Melissa Bassi, e segue l'invito del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, a «non abbassare la guardia di fronte alle nuove minacce di terrorismo». E OGGI BRESCIA tornerà a riempire la sua piazza, la stessa che alle 10.12 del 28 maggio 1974 fu violata da una bomba fatta esplodere mentre era in corso una manifestazione contro il terrorismo, indetta dai sindacati e dal Comitato Antifascista. Gli otto rintocchi del «mac de le ure» sillaberanno i nomi di ogni singola vittima. Poi un minuto di silenzio a prologo dell'inizio della commemorazione ufficiale ma ancora senza una verità giudiziaria che sembra sempre più improbabile… una verità alla quale Brescia e l'Italia non vogliono rinunciare in nome delle vittime che uccise mentre il segretario della Fim-Cisl, Franco Castrezzati teneva il suo discorso sotto una pioggia insistente.

giovedì 8 marzo 2012

Non regalate mimose cari maschietti ma RISPETTO per le vostre donne...

L'origine della Festa dell'8 Marzo risale al 1908, quando un gruppo di operaie di una industria tessile di New York scioperò come forma di protesta contro le terribili condizioni in cui si trovavano a lavorare.
Lo sciopero proseguì per diverse giornate ma fu proprio l'8 Marzo che la proprietà dell'azienda bloccò le uscite della fabbrica, impedendo alle operaie di uscire dalla stessa.
Un incendio ferì mortalmente 129 operaie, tra cui anche delle italiane, donne che cercavano semplicemente di migliorare la propria qualità del lavoro.

Tra di loro vi erano molte immigrate, tra cui anche delle donne italiane che, come le altre, cercavano di migliorare la loro condizione di vita. L'8 marzo assunse col tempo un'importanza mondiale, diventando il simbolo delle vessazioni che la donna ha dovuto subire nel corso dei secoli e il punto di partenza per il riscatto della propria dignità.

L'8 Marzo è quindi il ricordo di quella triste giornata.Non è una "festa" ma piuttosto una ricorrenza da riproporre ogni anno come segno indelebile di quanto accaduto il secolo scorso.

martedì 7 febbraio 2012

"NOVISTA" A ME? MA COME SI PERMETTE!!! LEI NON SA CHI SONO IO...

FORSE COSI' DIREBBE TOTO'
SE QUALCUNO LO TACCIASSE DI ESSERE UN "NOVISTA".

E A PROPOSITO DEL FATTO CHE NASCANO OGNI GIORNO NEOLOGISMI, A VOLTE IMPARENTATI CON IL GUSTO DELL'ORRIDO (VEDI POST PRECEDENTE), VOGLIO PORRE OGGI L'ATTENZIONE SUL "NOVISTA" (qual son io...) CHE NON E' UN NEOLOGISMO MA DA SEMPRE ESISTE: USIAMOLE LE PAROLE CHE LA NOSTRA LINGUA CI METTE A DISPOSIZIONE... USIAMOLE...

In un mondo che cerca costantemente di cambiare gli scenari quotidiani e consuma ad altissima velocità oggetti, sentimenti, intelligenze, persone, la categoria del “nuovo” cade davvero a fagiolo. Parrebbe che tutti non vogliano altro, che tutti non desiderino che la rottura completa con l’attuale presente, i suoi riti, le sue  abitudini quotidiane. Una specie di grande palingenesi, capace di salvarci davvero dal morto viluppo che trattiene la nostra vita. Tutti vogliono cambiare, tutti invocano la speranza della novità, a destra come a sinistra. Anzi, oltre la destra e oltre la sinistra. Oltre le antiche distinzioni. Oltre le vecchie appartenenze. Totalmente proiettati verso un non-luogo salvifico, migliore dell’attuale, dove finalmente vi sarà giustizia e ci
libereremo del “vecchio”.


Il linguaggio “novista” non espone contenuti, semplicemente espone se stesso. Le esortazioni sono sempre
le medesime, a cambiare, a costruire il nuovo, a lavorare per la speranza, per il futuro, contro i vecchi schemi. Quale sia il contenuto effettivo di questo nuovo non si sa mai bene. Anche perché l’impressione è questa: ogni qualvolta l’annuncio del nuovo assume sembianze di concretezza, sembra già che la realtà (vecchia, ovviamente) riprenda il sopravvento e il mondo materiale (con tutto il suo male profondo) si riproponga fatalmente.


Perché il “nuovo”, è chiaro, non può aver contenuti godibili oggi. I contenuti sono sempre “presenti”, difatti, e il presente, ciò che c'è ora, non può essere nuovo per definizione. E così si è “nuovi” se si è vuoti di contenuti, se si proiettano questi contenuti in un permanente domani, oppure in un futuro vago, approssimativo, escatologico.


Il novista parla al cuore, ai sentimenti, allo spirito. Il novista scantona dalla dura legge della realtà. Usa le
proprie formule solo per far reagire le persone, perché sa bene che del male non ci si libera e che la politica non salva, semmai ci rende dannati nella sua brutale necessità. C’è una parola allora, che meglio del nuovo
esprime l’idea di un cambiamento praticabile, la necessità di un cambio di passo. Ed è “innovazione”.
Innovazione è sempre in riferimento a un concreto, a un presente materiale, a un qui e ora. L’innovazione non elude il male, non lo nega recisamente e assolutamente, ma lo “lavora”, lo “tratta”, lo addomestica.
L’innovatore conosce la realtà senza farsi sopraffare da essa. Non dice “voglio il nuovo”, dice “voglio
innovare rispetto a questo presente”. Di innovazione il mondo vive e migliora, di nuovo il mondo muore, perché tende a conservarsi così com’è, cioè pessimo in larga misura.

ps: della parola NOVISTA sono il custode per un anno (fallo anche tu con un'altra parola, vai http://adottaunaparola.ladante.it/)

mercoledì 1 febbraio 2012

A PROPOSITO DEI NEOLOGISMI “MIGLIORATIVI”…

I cambiamenti del nostro caro vecchio mondo non si registrano solo con gli indici statistici o con l'aumento delle bollette del gas o della luce. Ci sono delle mutazioni apparentemente insignificanti e sfuggevoli che rappresentano, ad un orecchio attento, una nota nuova, più o meno intonata, nei soliti spartiti.
Sono i neologismi: quelle parole nuove inventate per significare un evento, un fatto, un prodotto prima inesistenti. Ma neologismi sono anche quelli introdotti per indicare, con un vocabolo nuovo, cose già note. La "copia fotostatica" è diventata la "fotocopia", la "motocicletta", la "moto" e così via. Questi fenomeni linguistici, di cui non voglio innalzarmi ad esperto, risentono ovviamente delle esigenze di chi quella lingua la parla e non sono solo la necessità di chiarezza o l'esigenza di velocità dell'eloquio a condizionarne le modificazioni.
Negli ultimi anni abbiamo notato tutti come una serpeggiante istanza di correttezza politica abbia influenzato il linguaggio. I "vecchi" sono "anziani", i "pazzi" sono "malati mentali", le "donne di servizio" sono "colf", i "minorati" sono "disabili". È un nuovo sentire secondo cui devono essere impiegati solo lemmi che non abbiano alcuna valenza spregiativa. Possibilmente si devono adottare termini che denotino in positivo anche le situazioni più disgraziate.
È una soluzione tranquillizzante e sedativa di sciagurati conflitti. Rende più serene le persone che vivono in uno stato di disagio più o meno incombente, ma soprattutto affranca dall'ansia politici, amministratori, funzionari e operatori che quelle patate bollenti dovrebbero togliere dal fuoco (e non abbassare la fiamma) insomma siamo in presenza di “ansiolitici linguistici”.
C'è poi qualcuno che si spinge ancora più in là. Qualche anno fa, alcune persone disabili hanno avuto l'acuta e orgogliosa intuizione di sottolineare come, anche in presenza di una menomazione importante, riescano a produrre, realizzare, essere competitivi con il resto del mondo. Per definire questa condizione hanno coniato il neologismo "diversamente abili". Nella loro bocca, in quel contesto, in quel momento poteva forse avere un senso. Forse. Già perché alla fin fine si enfatizza il concetto di abilità a tutti i costi, la concorrenza, la rincorsa ad una omologata normalità con tutti i paradossi che questa porta con sé.
Ma ci sono persone, più di quante si creda, la cui principale e vitale esigenza non è quella di trovare un lavoro e un collocamento mirato, ma quella di assicurarsi un servizio di assistenza che renda meno gravosa l'insostenibile pesantezza del quotidiano per i loro familiari a cui è delegata in toto, da distretti, comuni e servizi sociali, la loro stessa sopravvivenza. Sono le persone con handicap gravissimo e se il termine urtasse le sensibilità più raffinate potremmo definirle "diversamente ospedalizzate". Persone che al turismo accessibile non possono interessarsi, come pure alla possibilità di guidare un veicolo o alle opportunità dei servizi telematici o alla partecipazione a battaglie civili di avanguardia. La loro preoccupazione è sopravvivere, qualche volta malgrado i servizi socio-assistenziali pubblici. E se quei servizi verranno ulteriormente tagliati non diranno nulla perché non hanno voce. Altro che "diversamente qualcosa".
Niente di male, lo ripetiamo, se una persona disabile si autodefinisce "diversamente abile". Qualcuno potrà sorridere, a qualcun altro si inumidirà il sopracciglio di fronte a cotanta fierezza, in qualcuno scatterà l'emulazione e la volontà di superare la provocazione definendosi addirittura "diversamente dotato" (evocando pruriginose rimembranze). Ma quando il termine deborda dalla boutade per assurgere a termine di uso comune, si comincia a percepire un sentore di ipocrisia.
E mai come negli ultimi mesi mi è capitato di annotare quel termine "diversamente abili", magistralmente inchiavardato nei pubblici sermoni di politici, opinionisti, operatori, funzionari, responsabili di associazioni ed altri “dotti, medici e sapienti…”. Sembra si voglia far intendere che l'epoca dell'invalido povero ed emarginato sia stata sepolta da una nuova cultura fatta di promozione e di integrazione, di sperimentazione e di innovazione. Di questa "rivoluzione culturale" i "diversamente abili" sarebbero addirittura apportatori di ricchezza proprio grazie alla loro diversità.
Sono quasi certo che le persone disabili farebbero volentieri a meno di quella ricchezza. Sono portatori semmai di esigenze particolari che tanto sono più gravi quanto meno trovano risposta.
L'affermazione poi ce ne ricorda una di un po' più datata e svagata che interpretava la malattia mentale come una condizione comunque felice perché fuori dai rigidi e stereotipati paradigmi di una società bruta e poco creativa; pregiudizio mascherato e voglia di negare il profondo disagio che è proprio della malattia. La stessa superficiale ipocrisia di chi (e non sono in pochi) sostiene che le persone con Sindrome di Down sono comunque felici "perché sorridono e sono socievoli" e perciò possiamo definirle "diversamente tristi"?
È quindi una definizione non stigmatizzante e che raschia di meno la crosta nelle paure di ognuno di noi, che siamo o meno disabili. Ma è una terminologia oltre che falsa, inefficace. Falsa perché distorce la realtà spalmandola su un quadro rassicurante, una rappresentazione buona per tutti i salotti e per tutte le stagioni. Inefficace perché non evidenzia il disagio e non rimarca l'obbligo civile della presa in carico da parte di tutti.
La mia non è quindi una disquisizione su lana caprina.
C'è stato addirittura chi, in una passata legislatura, ha depositato una proposta per imporre per legge la nuova definizione. Immaginiamo con che dispiacere quel deputato abbia concluso il suo mandato senza avere l'opportunità di sottoporre all'aula l'epocale riforma! Un vero peccato perché l'approvazione di quella norma avrebbe dato la stura ad un'autentica rivoluzione linguistica.
Nel pieno rispetto del "politicamente corretto", a furore di legge e con zelo egalitaristico, tutte le fasce più disagiate avrebbero goduto della riforma socio-linguistica.
Ecco allora norme per l'assistenza domiciliare dei "diversamente maturi", misure di sostegno economico per i "diversamente benestanti", nuove disposizioni sui flussi di ingresso dei "diversamente colorati", regole più aperte per le coppie "diversamente eterosessuali" e infine contributi per le comunità di recupero dei "diversamente lucidi" e dei "diversamente astemi".
Ad una specifica commissione interministeriale sarebbe poi probabilmente stato affidato l'ingrato compito di individuare i termini politicamente scorretti nonché di dirimere gli inevitabili dilemmi semantici: immaginatevi i "diversamente abili" recuperati grazie ai progressi della tecnologia e della medicina come era corretto definirli? "Ex diversamente abili"? "Comunemente abili"? Oppure "Diversamente diversamente abili"? Fortunatamente tutto questo non è accaduto (per ora…).

giovedì 26 gennaio 2012

DAL GIORNO DELLA MEMORIA ALLA MEMORIA DI QUEI GIORNI (LETTERA APERTA A BEA)


Tornano alla mente in certi giorni, sensazioni che seppur mai sopite, si mettono in un angolo a osservarti pronte a graffiarti l'anima quando con un balzo decideranno di preparare un agguato la cui vittima sei tu.
Dicono che il tempo è fatto apposta per lenire le ferite e che le nuove esperienze tendono a ricoprire con una patina di passato quelle vecchie ma ben poca cosa si può fare per le cose che hai dentro e che si sono attaccate tuo malgrado, in maniera indissolubile.
E quindi ecco che domani nel giorno della memoria dedicato all'olocausto (ma chi riesce a dimenticare questo orrore negli altri 364 giorni dell'anno?) ci intristiremo nel ricordo che, mai sopito, ci riporta ad un anno fa, a quei giorni dapprima intrisi di incredulità, poi ricolmi di speranze e infine pieni di dolore, dolore, dolore e ancora dolore.
Ed allora queste poche righe che seguono e a te dedicate, vogliono solo sussurrarti che per quanto sia difficile accettare qualche volta la realtà, dobbiamo credere che c'è sempre un motivo per continuare.
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Ciao Bea, figlia mia infinitamente cara, scrivo a te (e agli altri che tu sai) perchè domani si apre una settimana emotivamente molto "intensa"; vivila con la serenità che quello che accade deve purtroppo/per fortuna accadere ed è da ciò che accade che arriva la linfa vitale/mortale per andare/non andare avanti e tu stai andando avanti!
Ciò che è avvenuto l'anno scorso ti ha mostrato da cosa è composto il lato oscuro del vivere quotidiano e questo non è facile da accettare eppure, ad un anno di distanza, ne stiamo parlando magari in agro/dolce, con nostalgia, a volte anche con rabbia ma anche, quando riaffiorano nella mente certi ricordi, con un sorriso seppur melanconico.
In fondo sei stata tu a scrivere : "tu vaniglia e io cacao" e questa è proprio l'essenza che resta veramente e resterà per sempre qualsiasi cosa accade... sia accaduta... e accadrà...
Ti stringo forte forte in un abbraccio (che mi auguro riesca a circondare anche gli altri che tu sai...).
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martedì 17 gennaio 2012

LA TECNICA (A PROPOSITO DI... OVVERO DELLA SERIE "LO SAPEVATE CHE...")

LE ORIGINI DELLA "TECNICA"

Nella Atene di Pericle abbiamo l'affermazione sociale e politica del "démos", nuova classe sociale portatrice di una nuova cultura basata appunto sulle conoscenze tecniche. Quindi fin dal suo apparire come concetto specifico, la "tékne" acquisisce un insieme di connotazioni più ampie del semplice "saper fare". Nelle discussioni di Socrate con i suoi concittadini si ha il primo confronto tra tecnica e filosofia. Nel noto passo centrale della "Apologia", Socrate riferisce di aver interrogato gli uomini politici, i poeti ed infine gli artigiani o "démiourgoi"; solo questi ultimi hanno evidenziato delle reali capacità e conoscenze, ma limitate al loro specifico campo professionale. Il "démos" insomma ha una sua dignità ed una sua cultura, ma non per questo può avanzare pretese sul controllo della pòlis. In Platone la polemica contro la tecnica (di cui gli esponenti più criticati sono i Sofisti) è volta contro una concezione strumentale e utilitaristica del sapere. Per esempio nel "Gorgia" platonico, l'opposizione tra filosofia e tecnica viene paragonata a quella tra medicina e culinaria (bene del corpo/adulazione del corpo), o a quella tra dialettica (dimostrare il vero) e retorica (convincere senza riguardo alla verità). Neppure Aristotele considera la tecnica come vero sapere, poiché essa si limita ad operare negli ambiti particolari senza curarsi delle cause.

L' Età Moderna

Solo nel Seicento ha inizio la tecnica nel senso moderno, non più contrapposta alla "vera" scienza, ma parte integrante di essa. Nei secoli successivi, ed almeno fino ai primi del Novecento, la tecnica viene alternativamente vista in una luce positiva (IlluminismoPositivismo), o negativa (RomanticismoIdealismo). È noto che il Positivismo, specie nella formulazione di Comte, affida agli scienziati il ruolo di guide della società, e prevede uno sviluppo della società in 3 stadi (teologico, metafisico, positivo), alla fine del quale tutta l'umanità approderà alla scienza come sua unica guida, anche in senso spirituale. Secondo Marx, che su questo tema appare vicino al Positivismo, grazie alla tecnica l'umanità potrà progressivamente liberarsi dalla servitù del lavoro, delegando alle macchine lo "scambio organico con la Natura" in cui consiste la civilizzazione. Gli avversari della tecnica (prevalentemente letterati, come LeopardiTolstoj o D. H. Lawrence) le rimproverano di produrre un mondo volgare e senz'anima. In entrambi i casi la tecnica viene identificata con il progresso e l'industrializzazione. Poi, nel quadro dell'irrazionalismo filosofico e della "crisi dei fondamenti" di fine secolo, si va oltre l'alternativa accettazione/rifiuto. Già inSchopenhauer, poi in EmersonNietzsche e Bergson si afferma una concezione pragmatica del pensiero, dove il "conoscere" è un "fare", rivolto essenzialmente alla soddisfazione di bisogni (individuali e sociali). In questa ottica la tecnica costituisce l'esito necessario dellaconoscenza, quando questa si sia liberata dalle pastoie della metafisica (e per alcuni della religione). La "morte di Dio" apre così l'epoca delnichilismo attivo, dove l'umanità utilizzerà consapevolmente le forze della Terra in direzione del dominio sulle cose. L'alternativa a questo resta la filosofia dei giorni formulata nel saggio Le opere e i giorni di Emerson.

Il Novecento

Il panorama culturale di inizio secolo, specie quello tedesco, è impegnato in una indagine critica sul senso della tecnica e della modernità in generale. Sulla scorta di Nietzsche si apre una nuova riflessione. Il concetto-guida è quello di "nichilismo", identificato in vari modi con la tecnica, ed assunto come destino della civiltà occidentale. L'antitesi spengleriana tra "Kultur" e "Zivisation", la profezia weberiana sul "disincanto del mondo" e l'avvento della "gabbia d'acciaio" burocratico-tecnologica, oppure le pessimistiche riflessioni di Freud sul disagio della civiltà moderna, sembrano identificare le linee di fondo della modernità con la decadenza e quest'ultima con l'avvento generalizzato della tecnica. In particolare Max Weber identifica la tecnica con il dominio del "pensiero calcolante", tema poi ripreso da Heidegger. La novità di queste posizioni risiede nella accettazione della tecnica come destino inevitabile ed improcrastinabile della civiltà moderna, che ne fa l'aspetto caratterizzante della nostra epoca.
Gli anni della Repubblica di Weimar sono duri per la Germania; una sensazione generale di fallimento e di crisi, unitamente alla volontà di riscatto dell'umiliazione subìta a Versailles, accentuano le tendenze reazionarie di una parte della cultura. Autori come Ernst Junger o Mõller van der Bruck, raccoltisi negli anni '20 intorno al gruppo della cosiddetta "Rivoluzione conservatrice", rilanciano la tecnica e la tecnologia come "forze nuove", che devono essere usate senza pregiudizi al servizio della potenza tedesca. In Junger l'esaltazione delle forze primordiali e barbariche della "giovane razza tedesca" si uniscono al vagheggiamento di un mondo aristocratico, basato sui valori della tradizione e della eccellenza. Questo inedito cocktail di esaltazione tecnologica e primitivismo sta anche alla base del Futurismo italiano, soprattutto nella elaborazione di Filippo Tommaso Marinetti.
Per restare in Germania, Husserl in "La crisi delle scienze europee" (1936) vede nella concezione oggettivistica della Natura, impostasi a partire da Galileo Galilei, la causa della crisi che avvolge la Civiltà Europea. Si tratta di una crisi di senso e di significato, nel momento in cui la tecnica pare raccogliere i suoi maggiori successi. Scienza e tecnica forniscono sempre nuovi risultati, ma non sanno rispondere alle domande fondamentali che coinvolgono l'uomo e la sua esistenza nel mondo. La tecnica rivolge alle cose uno sguardo distaccato, freddo, che tende ad "oggettivizzare" anche il soggetto che guarda, rendendo l'uomo una cosa tra le cose. Husserl ripropone con forza l'antitesi tecnica-filosofia, nei termini di alienazione-riappropriazione della ragione da parte dell'uomo.
(Definizioni e rimandi tratti da Wikipedia)

A VOLTE, PER FARE DEL BENE, SI FINISCE CHE...

La storia del Lupo di Cappuccetto Rosso raccontata da lui...

La foresta era la mia casa, ci vivevo e ne avevo cura, cercavo di tenerla linda e pulita, quando un giorno di sole, mentre stavo ripulendo della spazzatura che un camper aveva lasciato dietro di sè, udii dei passi.
Con un salto mi nascosi dietro un albero e vidi una ragazzina piuttosto insignificante che scendeva lungo il sentiero portando un cestino.
Sospettai subito di lei perché vestiva in modo buffo, tutta in rosso, con la testa nascosta da un cappuccio.
Naturalmente mi fermai per controllare chi fosse.
Le chiesi chi era, dove stava andando e cose del genere.
Mi raccontò che stava andando a casa di sua nonna a portarle il pranzo.
Mi sembrò una persona fondamentalmente onesta, ma si trovava nella mia foresta e certamente appariva sospetta con quello strano cappellino.
Così mi decisi di insegnarle semplicemente quanto era pericoloso attraversare la foresta senza farsi annunciare e vestita in modo così buffo.
La lasciai andare per la sua strada, ma corsi avanti alla casa di sua nonna.
Quando vidi quella simpatica vecchietta, le spiegai il mio problema e lei acconsentì che sua nipote aveva immediatamente bisogno di una lezione.
Fu d'accordo di stare fuori dalla casa fino a che non l'avessi chiamata, di fatto si nascose sotto il letto.
Quando arrivò la ragazza, la invitai nella camera da letto mentre io mi ero coricato vestito come la sua nonna.
La ragazza, tutta bianca e rossa, entrò e disse qualcosa di poco simpatico sulle mie grosse orecchie.
Ero già stato insultato prima di allora, così feci del mio meglio suggerendole che le mie grosse orecchie mi avrebbero permesso di udire meglio.
Ora, quello che volevo dire era che mi piaceva e volevo prestare molta attenzione a ciò che stava dicendo, ma lei fece un altro commento sui miei occhi sporgenti.
Adesso puoi immaginare quello che cominciai a provare per questa ragazza che mostrava un aspetto così carino ma che era evidentemente una bella antipatica!
E ancora, visto che per me è ormai un atteggiamento acquisito porgere l'altra guancia, le dissi che i miei grossi occhi mi servivano per vederla meglio.
L'insulto successivo mi ferì veramente.
Ho infatti questo problema dei denti grossi e quella ragazzina fece un commento insultante riferito a loro.
Lo so che avrei dovuto controllarmi, ma saltai giù dal letto e ringhiai che i miei denti mi sarebbero serviti per mangiarla meglio.
Adesso, diciamoci la verità, nessun lupo mangerebbe mai una ragazzina, tutti lo sanno, ma quella pazza di una ragazza cominciò a correre per la casa urlando, con me che la inseguivo per cercare di calmarla.
Nel frattempo mi ero tolto i vestiti della nonna, ma fu peggio: improvvisamente la porta si aprì di schianto ed ecco un grosso guardiacaccia con un'ascia!
Lo guardai e fu chiaro che ero nei pasticci. C'era una finestra aperta dietro di me e scappai fuori.
Mi piacerebbe dire che fu la fine di tutta la faccenda, ma la nonna non raccontò mai la vera versione della storia.
Dopo poco incominciò a circolare la voce che io ero un tipo cattivo e antipatico e tutti incominciarono ad evitarmi.
Non so più niente di quella buffa bambina con il cappuccio rosso, ma dopo quel fatto non ho più vissuto felice...

mercoledì 11 gennaio 2012

FORSE STA PER GIUNGERE IL TEMPO DI SCENDERE NELLE PIAZZE A RIPRENDERCI CIO' CHE E' NOSTRO...

ECCO CHI CI CHIEDE I SACRIFICI...
 
Incantevoli e lussuose località esotiche per delle vacanze da sogno. I nostri politici scelgono le Maldive e la Thailandia...